domenica 11 aprile 2010

Una mattina di primavera...(part.3)




Si parte: piano per scaldare motore e gomme, con calma per rubare ancora un po’ di panorama, un’occhiata allo Scoglio Ferale in lontananza e via!

Si torna alla Spezia e si prende per Genova.

Va evitato il nuovo traforo prendendo la strada vecchia, l’Aurelia very original, che sale alla Foce.

Questo è un tratto difficile, bisogna stare attenti perché è semi-urbano e la strada sale decisa a tornanti davvero strettissimi: io col motard godo come un matto!

L’asfalto non è male e bisogna avere occhio e ritmo, perché i gomiti della Foce sono davvero stretti e spesso bisogna buttare dentro la prima. È un tratto tutto sommato breve che si beve di un fiato: se sbagliate ritmo (a me è capitato più di una volta) c’è da remare! La Foce è un passo, quindi ora si scende. Arrivare a Riccò del Golfo (anche se il Golfo è da un’altra parte) significa appoggiare delle belle curve; da qui inizia un fondovalle mosso, che costeggia il fiume Vara ed è davvero divertente. Talmente divertente che bisogna tirare la briglia per non incappare nei malefici velox fissi, ma basta rispettare i limiti nei paesi e non fare troppo gli asini. Superato Borghetto Vara l’Aurelia gira intorno a un monte e passa per Pogliasca. Cito questo piccolo centro, perché ogni volta che sono passato la situazione era uguale: una strada che passa in mezzo a poche case e alcuni anziani sempre seduti sulle panchine a guardar chi passa.

Ormai ci siamo, a Termine di Roverano (o Bracchetto) si torna a scendere: superato il campeggio trovate una curva spaziale. In pratica si affronta un piccolo cavatappi in discesa: un sinistra-destra su una pendenza decisa. Bisogna essere rapidi nell’azione e l’ideale è avere una sospensione scorrevole. Non fate cazzate in inverno o con troppa umidità, però! La curva è in ombra ed è facilmente sporca: diciamo che il momento migliore è l’estate piena non dopo un temporale.

A Carrodano arriva il clou del giro: si sale al Bracco.

Qui chi è in forma e con la moto giusta può dare il meglio di sé.

La strada sale, l’asfalto è buono e inizia una serpentina infinita di curve e controcurve: non perdete il ritmo! La strada scorre nel bosco ed è una delle mete preferite degli smanettoni, che in qualche caso scendono tranquillamente a piegare con il ginocchio a terra. Il tratto più bello, la “pista naturale” inizia dopo La Baracca e arriva al “Tagliamento”: rettilinei, curve, esse veloci e lente: qui ogni curva ha un nome dato dai “postini locali”. La più famosa è la curva “Pippo Cella”, subito dopo il Passo del Bracco. Una piega feroce dopo una staccata decisa.

Al “Tagliamento” c’è una pausa obbligata. Qui, tra moto di ogni genere e livello di preparazione, sembra di essere ai box di Monza. Si parla di gomme, staccate, sospensioni e soprattutto di “come fare le curve più belle”, giustamente questa è l’università della curva.

Riprendendo il percorso si scende verso Sestri Levante. Ancora Aurelia, ancora curve entusiasmanti che portano i più smaliziati a toccare in piega con il ginocchio in più di un’occasione. Un bel misto, che credo abbia pochi eguali in Italia, almeno al nord.

Da Sestri si riprende a salire verso Castiglione Chiavarese. È una strada difficile, serrata, con un bell’asfalto che spesso invita, ma la larghezza ridotta della carreggiata non aiuta.

Si supera la “Torza” e si prosegue a salire con ritmo incalzante verso Varese Ligure, una deliziosa località nell’entroterra ligure. Qui bisogna fare estrema attenzione al velox malefico piazzato nelle finestre del municipio (io ho preso già una “timbrata”… azz…), proprio prima della salita che dà inizio al “toboga” del Cento Croci. Toboga è proprio la parola giusta: la strada è stretta e le curve sono continue e invitano a piegare, perché in alcuni tratti sui riesce a vedere lontano.

Sul passo c’è quasi sempre vento e la fermata d’obbligo è al Ranch Camillo per un caffè che consente di reggere fino a casa (ormai i km sono tanti).

La discesa verso Borgotaro è dolce, le curve sono discretamente facili, adatte ai neofiti, che qui possono imparare tranquilli: solo due svolte sinistrorse sono da prendere con le pinze, ma si scende veloci e il tratto “bello” finisce sempre troppo in fretta.

Dall’ex Babilonia fino a Parma è un po’ una noia: la fondovalle è dritta come un’autostrada e le curve bisogna un po’ inventarsele. C’è chi per rompere la monotonia se la fa “a chiodo”, come quella volta che si arrivò a Collecchio in meno di mezz’ora, ma non va bene per niente e comunque… è un’altra storia!


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